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La chiesa di San Giuseppe a Ponte in Valtellina

Il primo documento, un atto di vendita, in cui si trova testimonianza dell’intenzione di edificare la chiesa di S. Giuseppe data 1632: nomini fabrice ut fabricatur sacellum ad honorem Beatae Virginis Mariae et sancti Josephi sponsi sui in contrada de Cassiano.[1]

Nel 1633 si fabbrica capella sub titulo Sancti Joseph et Beatae Mariae Virginis que modo fabricatur in contrata de Franchettis sive de magistro Antonio.[2] Questi, Antonio del Moltono[3], vendette parte dei suoi possedimenti per erigere la cappella che, intitolata oggi a San Giuseppe, protegge ancora la omonima contrada nella quale antichi edifici rurali, angusti percorsi e sistemi di protezione dalle piene alluvionali, sono testimoni di una presenza abitativa già in epoca medievale.

Si ha inoltre notizia che nel 1635 amministratori della cappella sono Antonio quondam Michele Franchetti e Vincenzo quondam Pietro de Zuccho.[4]

Nel 1870 era stata visitata dal vescovo Carsana: “È discreta la facciata con due affreschi passanti: S. Giuseppe e St. Anna. Al di dentro brutta, maltenuta, senza pavimento. Spesso vi si dice Messa, in processione vi si va a cantarla nel suo giorno e nella domenica del Patrocinio”.[5] Negli anni immediatamente successivi, la chiesa subisce importanti interventi di manutenzione che le conferiscono un aspetto più dignitoso. Durante la visita avvenuta nel 1893, monsignor Andrea Ferrari fa, infatti, una differente valutazione: “Poco discosta dalla parrocchia, è frequentatissima, peccato sia troppo piccola”.[6] L’archivio parrocchiale[7] conserva ricevute relative ai lavori eseguiti: mastro Innocente Corbellini, per lavori al tetto, aveva presentato nel 1887 un conto di 20 lire; erano stati inoltre effettuati restauri per un importo di 115 lire (la sola opera del pittore Galli Giovanni che aveva “lavorato di ornati e pitture” ammontava a 70 lire). Ancora, si registra che per 14 lire erano state acquistate 4 palme (arredi ornamentali in metallo per l’altare), per 5 lire un quadro del Santo e per altre 5 lire un’oleografia, sempre di San Giuseppe. I vicini, ma anche molti altri parrocchiani devoti, si erano adoperati per una raccolta straordinaria di offerte (70 lire circa) per contribuire alle necessità. In occasione dell’installazione dell’elettricità – attorno agli anni ’40 del Novecento – ci fu una raccolta di offerte di oltre 200 lire per una lampada.

La chiesa, ancora consacrata, ospita funzioni religiose in occasione della festa del santo.

L’edificio, di modeste dimensioni, presenta una sobria facciata a capanna con campanile a vela. L’intonaco del prospetto sembra articolare la superficie in due differenti livelli per via della diversa cromia: una fascia inferiore scura, color ocra, una superiore più chiara, grigio-azzurra.

Al livello inferiore si apre, al centro, il portone d’ingresso affiancato da due finestre cui corrispondono, nella fascia superiore, affreschi ottocenteschi raffiguranti S. Giuseppe con Gesù Bambino, a destra, e Sant’Anna con Maria, a sinistra; in corrispondenza del portone d’accesso è dipinta una croce trifogliata.

La chiesa è a pianta rettangolare e ad aula unica.

All’interno, sull’altare è conservata una statua del santo titolare realizzata nel 1928 in “legno e carton romano”[8]; alle pareti due tele con l’immagine rispettivamente di S. Francesco Ferrer e del Beato Cristoforo Padella unitamente a ex voto.

Assente nell’archivio parrocchiale è la documentazione riferita agli affreschi presenti sulla facciata. L’archivio privato di una famiglia di Ponte conserva una annotazione registrata entro gli anni ’70 dell’Ottocento: “in capo alla contrada di San Giuseppe si para dirimpetto una piccola chiesa dedicata al padre di Gesù, sulla cui facciata da pochi anni da certo Pedrazzi ticinese venivano dipinte due figure San Giuseppe e Sant’Anna e la Madonna, opere di nessun valore”.

Giacomo Antonio Pedrazzi[9] di Cerentino (1810-1879), pittore ticinese, è attivo, assieme al padre, in Valtellina: pur mancando la data precisa nell’appunto sopra citato e del periodo di attività in provincia del Pedrazzi, pare plausibile l’attribuzione, a quest’ultimo, dell’esecuzione dei due affreschi. Il 1870, data della visita pastorale condotta dal vescovo Carsana, si configura come termine ante quem per la datazione delle pitture parietali.

Le figure sono racchiuse entro cornici dipinte centinate. Il pittore ha utilizzato colori tenui per rappresentazioni molto tradizionali dal punto di vista iconografico.

Sant’Anna, in abito azzurro, manto rosso e con il capo coperto da un velo bianco, è assisa e, tenendo un libro in grembo, impartisce i primi rudimenti del sapere alla figlioletta Maria. Sullo sfondo si nota una parete con apertura a suggerire lo svolgimento della scena all’interno di un’abitazione.

S. Giuseppe indossa una tunica grigio-azzurra ed un ampio mantello che ricade sul suo corpo con ampi panneggi. Si intuiscono ai suoi piedi gli attrezzi del mestiere; purtroppo la caduta di un’ampia porzione di intonaco affrescato ne impedisce la completa lettura. Nella mano destra regge il bastone, tradizionale attributo del santo. Il Bambino, ritto sui piedi appoggiati su di un plinto, è parzialmente coperto da un drappo bianco e tende le braccia al volto del padre.




[1] Archivio di Stato di Sondrio (ASSo), notaio Quadrio Giovanni Maria, 3718 f. 226. [2] ASSo, notaio Quadrio de Maria Francesco, 4167. [3] “Il Pellegrino”, anno XIII n. 4 aprile 2001. [4] ASSo, notaio Quadrio de Maria Francesco, 4168. [5] Archivio Parrocchiale di Ponte in Valtellina (APP). [6] Ibidem. [7] Ibidem, chiese sussidiarie. [8] Ibidem, Luigi Raffaelli “fabbricante di statue religiose in plastica legno e carton romano”, con laboratorio in Milano, realizzava la statua di “San Giuseppe, eseguito artisticamente, in carton romano, nell’altezza di 160 cm, dipinto finemente con colori ad olio lavabili all’acqua … con aureola a raggiera”. Il conto, comprensivo di imballaggio e trasporto, ammontava a ben 580,50 lire. Grazie alla generosità di una cinquantina di fedeli, delle giovani del ricreatorio, delle consorelle e delle donne cattoliche, si raccolsero 205,90 lire. Ricorda una parrocchiana anziana che, nei giorni precedenti l’arrivo della statua, i bambini accorrevano a “vigilare” sull’evolversi dei lavori, affascinati dalla novità. [9] Scarne sono le notizie biografiche dell’autore degli affreschi. massimo guidi nel Dizionario degli artisti ticinesi, Formiggini, Roma 1932, p. 222 lo registra come Pedrazzi Giambattista e ne indica solo data e luogo di nascita e di morte. In Gli artisti ticinesi: dizionario biografico, Libreria Bianchi, Lugano 1900, p. 148 troviamo brevi cenni sulla sua biografia. Si riferisce che Giacomo Antonio è un pittore autodidatta (il padre desiderava avviarlo all’attività di muratore). I due “artigiani” sono attivi anche in Valtellina e, dopo la morte del padre, avvenuta a Traona, Giacomo Antonio comincia a dipingere. Si trasferisce a Milano e prende lezioni di pittura a Brera. Tornato al paese d’origine ottiene incarichi per decorazioni a fresco. Nel 1855 parte per Melbourne; qualche anno dopo torna al paese natale dove muore nel 1879.



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