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Lydia Silvestri: artista che ha saputo dar voce e forma alla pietra

Nel gennaio 2018 si è spenta Lydia Silvestri. L’artista, nata a Chiuro nel 1929, ha raggiunto notorietà e riconoscimenti a livello internazionale grazie alle sue opere scultoree. L’architetto Graziano Tognini, in un suo scritto (pubblicato sull’Annuario dei Maestri del Lavoro del Consolato Provinciale di Sondrio, nr 9/2018) dedicato all’artista e alla sua ricca attività creativa, ha messo ben in evidenza gli aspetti propri dell’essenza della sua scultura. La vigorosa impronta creativa senza tracce di intellettualismi così come un patos senza angoscia o, ancora, la vena di poesia che si leva dalle opere sono ravvisabili non solo nella produzione plastica, ma anche nei suoi mosaici.

Questi, realizzati in un breve intervallo di tempo – tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’70 del ‘900 –, costituiscono un corpus meno ricco dal punto di vista quantitativo e, forse, meno noto e studiato rispetto alle sculture; sicuramente non vi è una bibliografia dedicata, se non un breve accenno ai mosaici di Casa Bonazzi curato da Elisabetta Sem. Non vi accennano neppure le diverse guide di Sondrio e nemmeno la pur dettagliata guida di Mario Gianasso.

In provincia la Silvestri ha lasciato almeno quattro testimonianze in mosaico, tre nel capoluogo (Chiesa della Madonna del Rosario; Casa di riposo; casa Bonazzi, angolo via Mazzini-via Rajna;) e una nella Chiesa di Santa Maria Assunta all’Aprica.

La pietra, già duttile nelle sculture plasmate dalle mani dell’artista, è materia predominante anche nei mosaici. La scelta di questo materiale è stata dettata principalmente dalla destinazione ultima di alcune opere: mi riferisco in particolare ai mosaici pavimentali, ove si è reso necessario l’impiego di un materiale resistente al calpestio. Nel caso dei mosaici di casa Bonazzi, l’uso della pietra si è reso necessario – come la stessa Lydia Silvestri mi ha confermato durante una lunga e costruttiva conversazione, durante la quale mi ha anche resa partecipe di scritti critici, – per l’intenzione di stabilire un dialogo tra le opere e il contesto naturale valtellinese e, al contempo, di sottolineare il legame che l’artista non ha mai interrotto con la sua terra d’origine. Così come nella scultura, anche nei mosaici ideati dalla Silvestri, il materiale povero e inerte – la pietra – prende vita in forme vibranti e coinvolgenti o cariche di una emotività più intimistica, pacata o, ancora, permeate dalla dimensione quotidiana.

L’artista non indugia in intellettualismi o in sovrastrutture concettuali pur ricorrendo al mito e a una sua reinvenzione, o a una libera interpretazione della realtà oggettiva; ci consegna una lettura personale, ma non estraniante o enigmatica delle figure, portatrici di un profondo significato riconducibile ad una conoscenza originaria, intima e universale al tempo stesso.

Nel 1959 la Silvestri è stata impegnata al progetto decorativo della cappella della casa di riposo di Sondrio (a quella data ancora sita in via San Giovanni Bosco) che prevedeva mosaici per l’altare e per il pavimento. All’inizio di questo secolo, con il trasferimento della struttura nell’attuale sede, il mosaico pavimentale è andato perduto; rimangono oggi solo i mosaici posti sull’altare. Semplici e lineari elementi geometrici (quadri e cerchi) policromi ornano i lati della mensa. Sul fronte dell’altare campeggia, entro una larga cornice a fasce concentriche con la ripresa dei motivi geometrici laterali, la raffigurazione del pellicano che nutre i suoi piccoli. Risaltano gli inserti in tessere dorate, che conferiscono al paliotto vibrazioni luministiche e coloristiche. L’artista ha scelto, per rappresentare il sacrificio supremo di Cristo, un’immagine riferibile ad una lontana tradizione pagana, quella del pellicano che uccide i propri piccoli indocili, ma li riporta in vita dopo tre giorni con il sangue delle sue ferite, procuratesi da solo. Già nel Fisiologo (opera alessandrina del II sec. D.C.) questo uccello è dotato di qualità favolose, viene poi reinterpretato in epoca Medievale quando, nell’arte e nella letteratura del tempo, l’uccisione dei piccoli passò in secondo piano a favore della leggenda secondo la quale il pellicano nutre la figliolanza con il proprio sangue fino a morirne, divenendo simbolo popolare del sacrificio di Cristo. Il richiamarsi ad arcaiche valenze simboliche e l’impiego di stilemi iconografici medievaleggianti, così come una sua personale interpretazione permeano anche altre opere musive della Silvestri, quasi a istituire tra tutte un ideale filo conduttore.

Il mosaico pavimentale perduto della casa di riposo rappresentava il Vizio, nella forma di un mostro con una testa leonina, con minacciosi artigli di rapace e una coda di serpente annodata su se stessa. In questa immagine terrificante e terribile era sottesa la forte suggestione degli animali favolosi e leggendari dei bestiari medievali.

Più pacate e vicine a una dimensione quotidiana sono invece le immagini dei sette mosaici di casa Bonazzi risalenti alla fine degli anni ’50 del secolo scorso: sei corredano la ringhiera del terrazzo al primo piano, uno è posto all’ingresso su via Rajna. Figure zoomorfe e fitomorfe si stagliano su uno sfondo chiaro, neutro. Anche in questo caso, come per il mosaico del Vizio sopra citato, sembra che animali, fiori e frutti siano debitori delle raccolte medievali di animali e piante “mitici” e fantastici. Le forme dei soggetti, suggeriti direttamente dalla natura del territorio, sono fortemente stilizzate, ben lungi da una descrizione oggettiva; talora risultano astratte – linee spezzate e andamenti a zig-zag rompono il naturalismo –, ma paiono sempre filtrate da una componente onirico-fantastica, libera espressione della creatività dell’artista. Sono tuttavia immediatamente riconoscibili la mela, l’aquila, il fiore, il gallo di montagna; altri soggetti, foglie e insetti, coinvolgono lo spettatore con una sua più personale identificazione del tema rappresentato; in ogni caso il dato naturalistico è riproposto dall’artista secondo una sorta di visione primigenia, arcaica, carica di suggestioni e simbologie riconducibili alle superstizioni radicate nella nostra tradizione. L’artista ha forse voluto attribuire a questi mosaici una valenza apotropaica?

Il pannello posto a lato dell’ingresso è dominato dalla presenza di un gallinaccio, riconoscibile dalle zampe e dalle penne. La composizione sembra far convergere l’attenzione dell’osservatore al centro del pannello, dove tessere in pietra rossa restituiscono la vivida immagine di gocce di sangue che sgorgano da una ferita aperta sul petto del gallo. In passato la cultura europea considerava il gallo da una parte un animale solare, che con il suo canto annuncia l’alba e scaccia i demoni notturni; dall’altra – soprattutto il gallo nero – era visto come un animale magico, vittima sacrificale per le potenze infernali. Mi piace pensare che l’artista abbia voluto attribuire a questo mosaico la simbologia positiva, benaugurante per chi varca la soglia.

Purtroppo il pannello versa in condizioni critiche: alcune lacune e il sollevamento di porzioni di mosaico ne compromettono l’integrità. Sarebbe opportuno un intervento di stabilizzazione.

Anche l’aquila, rappresentata sul balcone, è un animale simbolico, è immagine di forza e tenacia. Il Fisiologo le attribuisce le stesse qualità della fenice; nel Medioevo era anch’essa un emblema della rinascita e del Battesimo.

La mela è simbolo di fecondità. Le mele d’oro nel giardino delle Esperidi erano considerate metafora dell’immortalità. Nel simbolismo cristiano poi, la forma sferica della mela è vista anche come simbolo della terra; più frequentemente però, è associata al peccato originale.

Per la Chiesa della Madonna del Rosario di Sondrio, nel 1961, Lydia Silvestri ha progettato e realizzato la decorazione dell’intero spazio absidale fondendo in bronzo la statua della Madonna ed altri elementi ornamentali; piccole croci in mosaico interrompono l’uniformità cromatica e di superficie del pavimento in lastroni litici. Sul fondo monocromo delle crocette corrono elementi lineari, geometrici; dominano la semplicità, il sintetismo, in totale accordo con l’essenzialità dell’arredo della chiesa.

Agli anni ‘70 del ‘900 risale il vasto mosaico pavimentale del coro nella chiesa di Santa Maria Assunta in Aprica, avente per soggetto “la Virtù e il Vizio”. Un angelo in abito bianco, sulla sinistra di chi guarda l’altare, allegoria della Virtù, regge in mano dei fiori; da questi sembra prendere origine un albero rigoglioso, verosimilmente identificabile con l’Albero della vita. Questo estende i suoi rami da un lato, verso il fondo dell’abside, dall’altro verso il centro del presbiterio congiungendosi, davanti all’altare, con la coda del “Vizio”. A questo l’artista ha dato l’aspetto di un animale mostruoso e terrificante, possente e minaccioso, con la testa di leone dalle fauci spalancate e con la lingua biforcuta, con robusti artigli e una lunga coda ricoperta di spine insidiose, che si avvolge in spire. Questa immagine allegorica è molto vicina, iconograficamente e stilisticamente, a quella del “Vizio” realizzata per la casa di riposo di Sondrio e al “drago”, raffigurato sulla facciata della chiesa di San Giorgio a Colico per la quale, nel 1965, Lydia Silvestri ha realizzato la lunetta che corona il portale.

La marcata linea scura che profila le figure richiama immediatamente alla memoria la tipologia del mosaico di tradizione bizantina; non fissa tuttavia le figure in pose immobili così come non le chiude in una bidimensionalità antinaturalistica, anzi, le rende più corpose, più vive, quasi a riempire lo spazio sacro con la loro presenza ingombrante. Colpisce l’angelo che sembra pronto a librarsi in volo sorretto dalle sue ali vibranti.

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