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La strage di Valtellina del 1620

Ricorrono quest’anno i 400 anni dalla congiura di alcuni valtellinesi cattolici, capitanati da Giacomo Robustelli e Giovanni Guicciardi, ai danni dei protestanti. La rivolta, scoppiata il 19 luglio 1620 a Tirano, provocò alcune centinaia di morti, in prevalenza valtellinesi e la storia l’ha ricordata come “sacro macello”.

Pubblico qui la traduzione di un testo in tedesco poco conosciuto, edito nel 1860.


(G. Leonhardi, Das Veltlin nebst einer Beschreibung der Bäder von Bormio. Ein Betrag zur Kenntnis der Lombardei Zugleich als Wegweiser für Wanderungen vom Stilfser Joch bis zum Splügen, Verlag von Wilhelm Engelmann, Leipzig1860; ristampa anastatica, Kessinger publishing, USA 2020, pp. 23-29)

Nel luglio 1620, a Grosotto, il cavaliere Giacomo Robustelli, esiliato dal tribunale censorio di Thusis e appena di ritorno dall’esilio, uomo che, con le sue ricchezze, le sue conoscenze e la sua affabilità, si era guadagnato in tutta la Valtellina grande prestigio e fiducia, rivolse ai congiurati radunatisi nella sua abitazione le seguenti parole: “Il tempo delle lagnanze da donne è finito. Ci si deve ribellare. La guerra è preferibile alle condizioni in cui ci troviamo. Patria, proprietà, leggi e, cosa più importante, la religione, ci sono stati tolti o macchiati dai Grigioni. Non spaventatevi davanti alla parola “rivolta”. Il papa ci benedice, la Spagna ci aiuta, la discordia dei Grigioni ci favorisce. Quanto sarà di conforto, quando, in vecchiaia, potremo dire ai nostri figli e ai nostri nipoti: è nostro merito che siete liberi e cattolici.”

“Che cada il giogo retico! Che i protestanti siano passati a fil di lama!” gridò il giurista Schenardi.

“Che siano abbattuti” gridò il dottor Vincenzo Venosta, superando i due precedenti oratori, “fino all’ultimo, tutti gli eretici caduti vittima di Satana, che vivono in mezzo all’ovile di Cristo! Che il popolo senta la voluttà del sangue e che questa sigilli il voto di eterna ostilità contro i folli dominatori.”

Il piano di morte non rimase un segreto. Per strada era già argomento di mendicanti, bambini e serve. Molti protestanti tremavano. Ma, ritenendo ancora impossibile una tale malvagità da parte dei loro concittadini e parenti, non pensarono né ad armarsi, né a fuggire. Tuttavia la loro paura crebbe quando si diffusero dicerie di ogni genere, secondo la credenza del tempo di segni premonitori. A Morbegno, ad esempio, si videro divampare, di notte, fiamme ardenti, dal municipio verso il cielo. A Sondrio, un insolito fulgore riempì la chiesa e la grande campana suonò da sola. In una chiesetta a Fusine si udirono suoni lamentosi e tristi etc.

Nella notte tra il 18 e il 19 luglio irruppe il cavaliere Robustelli con la masnada di assassini che, arruolati con denari spagnoli, si erano riuniti nelle sue cantine e scantinati. A Tirano si nascosero nella casa del dottor Francesco Venosta. Alle prime luci dell’alba iniziò il bagno di sangue, della cui descrizione dettagliata il caro lettore viene esonerato, essendoci da raccontare molte atrocità che disonorano l’umanità, come le vide Parigi nella notte di San Bartolomeo. Al sorgere del sole il pastore d’anime Antonio Basso, assieme a tutto il suo esercito (circa 60 persone) era già stato massacrato dalla masnada del Robustelli, alla quale si erano uniti molti cattolici del borgo. Solo tre uomini sfuggirono arrampicandosi su ripide rocce. Alcune donne salvarono la propria vita con la promessa di andare a messa.

Con bandiere insanguinate, la masnada di assassini passò da Tirano a Teglio, dove le si unì il popolo guidato dai due nobili Azzo e Carlo Besta. I protestanti che si erano appena radunati nella chiesa furono assaliti e massacrati senza pietà. Giovanni Pietro Danza, pastore devoto ed erudito, che incitò alla fedeltà fino alla morte, fu ferito, sul pulpito, da uno sparo. La quattordicenne Margherita Guicciardi fu uccisa da una pallottola nel momento in cui diede un bacio d’addio al padre morente, un venerando gentiluomo. 17 persone, tra cui 6 donne e 4 bambini, furono bruciati nel campanile in cui si erano rifugiati. Solo pochi, che promisero di diventare cattolici, furono risparmiati. Anche qui il numero delle vittime del massacro arrivò almeno a 60. I più appartenevano alle famiglie più in vista del comune. Tra questi vi erano, per esempio, dodici membri della nobile famiglia Gatti oltre a molti membri delle nobili famiglie Paravicini, Piatti, Guicciardi e Besta. Gli assassini fanatici non risparmiarono i parenti più prossimi. Tra i morti si contavano, oltre al pastore, un insegnante, tre dottori di diritto, un farmacista, uno scrittore, un senatore veneziano e il cancelliere del podestà. Per la maggior parte erano cittadini di Teglio.

Da Teglio gli assassini si sparpagliarono nelle più piccole località e cascine circostanti e riservarono il medesimo destino ai protestanti che vi abitavano.

La schiera arrivò poi agli evangelici a Sondrio. Il capitano Giovanni Guicciardi di Ponte, braccio destro del Robustelli, si era già messo sulla via verso il capoluogo nel buio della notte (tra il 19 e il 20) assieme alle milizie del suo comune. A Sondrio il valoroso e cattolico cancelliere di valle, Nicola Paravicini, sollecitò tuttavia tutti i cittadini a proteggere i protestanti. Molti cattolici ben intenzionati si unirono armati ai protestanti, fermamente decisi a opporsi alla marmaglia assassina dei cui crimini era macchiato il suolo valtellinese. Tuttavia, con la persuasione di alcuni preti, l’entusiasmo dei cattolici si raffreddò presto. Allo spuntar del giorno giacevano sulle strade, qui e là, protestanti assassinati. Al grido: “Viva la fede romana!”, il popolo, reso fanatico da preti e nobili, iniziò anche qui il bagno di sangue, avventandosi furioso sui concittadini votati alla morte. Il cancelliere Mingardini velocemente radunò a sé circa 20 uomini, armi in mano, decisi a vender cara la vita. La folla omicida non si arrischiò ad attaccare il gruppetto risoluto. Fiduciosi in Dio, Mingardini e i suoi amici passarono per le strade, affinché i compagni di fede si potessero unire a loro. La schiera, cresciuta fino a 73 persone – in cui si trovava anche il prete Alexis –, prendendo, al centro, donne e bambini, salì su un’altura e si salvò, attraverso la Val Malenco, per montagne di neve, verso l’Engadina.

Guai a chi rimase indietro! Con gli abitanti, che iniziarono l’opera sanguinosa, si unirono ora ancora il Guicciardi e Azzo Besta con 800 armati (800 terribili per fame di sangue e preda). Le uccisioni a Sondrio e nei dintorni durarono tre giorni senza riguardo per l’età, il sesso e la parentela. Qui molte donne, con ammirevole forza d’animo, riconobbero il loro Salvatore fino alla morte. Si lasciarono buttar giù da rocce e da ponti piuttosto che rinnegare la confessione in cui avevano trovato la pace interiore. A Sondrio furono uccise circa 140 persone. Tra queste vi erano Anton Alba, pastore evangelico in Malenco, B. Marlianico, pastore evangelico di Mossini e J. B. Mallery originario dell’Olanda, dottore in entrambi i diritti, filosofo, teologo ed eccellente insegnante dei giovani.

Il Robustelli parlò al capo del governo Travers a Sondrio: “Il tuo dominio è finito, torna a casa”. Poiché Travers si era mostrato indulgente, nei Grigioni, con il partito spagnolo e, in Valtellina, contro i cattolici, gli si permise, sebbene fosse protestante, di ritornare liberamente nei Grigioni con la sua famiglia.

Sotto Sondrio la maggior parte dei protestanti poté salvarsi con la fuga. Se l’assassinio fosse stato compiuto nella domenica di 26 luglio, come inizialmente concordato, questi sarebbero stati assaliti e uccisi nelle loro chiese. Però, poiché il Robustelli, per eventi imprevisti, fu costretto a iniziare a colpire già il 20, non era ancora arrivata la schiera di assassini reclutata nel milanese per il terziere inferiore e non era così facile muovere gli abitanti ad uccidere i propri concittadini come nei distretti superiori.

A Berbenno, il sindaco B. Poretti, che ricevette dal Guicciardi l’ordine di uccidere i protestanti del suo territorio, li aiutò nella fuga; pagò però il suo gesto nobile con la vita. Anche un altro cattolico fu ucciso, perché aveva offerto viveri a coloro che erano fuggiti sulle montagne. Molti fuggiaschi si lasciarono attirare dalle lusinghiere promesse dell’arciprete Paravicini a valle, dove furono uccisi dai loro stessi fittavoli.

I cattolici di Morbegno costituirono una lodevole eccezione dei valtellinesi. Diedero una scorta agli evangelici che fuggivano, tra i quali il podestà grigione, il commissario di guerra e 5 pastori, fin che non fossero al sicuro e fornirono di denaro per il viaggio i poveri che erano tra loro.

Le atrocità commesse poi, a Morbegno, su chi aveva esitato a cogliere il momento favorevole della fuga, furono a carico della schiera del Guicciardi. Il sarto A. Paravicini fu messo tra due roghi e, poiché non voleva abiurare, fu bruciato vivo.

Anche Bormio, alle sorgenti dell’Adda, non rimase immacolato. L’unico convinto protestante di questa località (due riformati stranieri si erano lasciati indurre, dalle minacce, all’apostasia e altri erano emigrati già molto tempo prima) fu circondato e pugnalato da tre giovani nobili del posto.

Così tutta la Valtellina, dalle pendici della Juga Rhaetica fino al Lario, fu “epurata dagli eretici”.

Circa 600 fedeli testimoni della verità guadagnarono la corona del martirio. La semina di Carlo Borromeo, dei Gesuiti e dei Cappuccini iniziò nel sangue. Il Romegialli di Sondrio, nella sua superba storia della Valtellina chiama “strage” il più grande crimine della Valtellina, mentre da altri viene detto “sacro macello”.



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Immagine: stampa tratta dal libro “Il sacro macello della Valtellina” di Cesare Cantù

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